Due gioielli di Ercolano

 

 

Due gioielli di Ercolano

(di Philippe Durbecq)

 

 

Al Dr. Philippe Dieudonné, Storico, per la Sua amicizia di bronzo e per la Sua insondabile cultura

Al Dr. Francesco Sirano, Direttore del Parco di Ercolano, per la Sua scienza, ma anche per il Suo talento di insegnante

Alla Dott.ressa Maria Sannino, che gentilmente ha riletto le mie bozze in italiano e che ringrazio dal profondo del cuore

 

  

Il 24 ottobre 79 d.C., verso le 13 (ora settima per i Romani), il Vesuvio si risvegliò dopo oltre mille anni[1] di sonno ...


Il fenomeno inizia con un'enorme esplosione del cratere: la carica di gas accumulata ha fatto esplodere il tappo lavicodi come quella di una bottiglia di champagne. Poi si è formata la colonna eruttiva, un enorme pennacchio a forma di pino cembro ci racconta delle sorgenti[2] costituite da materiale gassoso e cenerino che si accumulerà per tutto il pomeriggio e salirà ad un'altezza di oltre venti chilometri.


Un testimone oculare, Plinio il Giovane (nel Libro VI delle sue Lettere), ce ne ha infatti lasciato una descrizione nello stile di un giornalista descrivendo sia la catastrofe con tutti i suoi dettagli (un cielo d'inchiostro in pieno giorno, i tremori, l'opacità, il rombo grave e profondo del vulcano, i movimenti della folla), ma anche i sentimenti umani che ne derivano (il panico, l'angoscia) : « Si stava formando una nuvola (non potevamo vedere chiaramente da lontano da quale proveniva, abbiamo poi saputo che era il Vesuvio), avente l'aspetto e la forma di un albero e soprattutto ricorda un pino. ». « Erano già le sette del mattino, e c'era ancora solo una luce fioca, come una specie di crepuscolo. Poi gli edifici furono scossi da scosse così forti che non era più sicuro stare in un luogo che era davvero aperto, ma molto angusto. Decidiamo di lasciare la città; le persone terrorizzate ci seguono in massa, ci incalzano, ci spingono; e,  poiché la paura prende il posto della prudenza, ciascuno crede nulla di più sicuro di ciò che vede fare gli altri. ».

 

Cosa hanno portato con sé i fuggiaschi quando hanno lasciato le loro case in fretta e furia? Un po' come noi quando viene annunciato un disastro: hanno preso i loro gioielli, l'argenteria, la chiave di casa e una lampada (perché ricordiamoci, anche se è metà pomeriggio, il cielo è completamente nero). L'esempio più noto è lo scheletro detto « la Dama dell'Anello » (« Ring Lady ») per via degli anelli di smeraldo e rubino ritrovati sulla mano sinistra della sfortunata vittima. Accanto alla donna sono stati scoperti anche due braccialetti d'oro (indossava un ornamento a doppia armilla con teste di serpenti[3] affrontati) e orecchini d’oro.

 


Annello di rubino (fonte : sito « Romanoimpero » – Collegamento ipertestuale: https://www.romanoimpero.com/2010/02/ercolano.html[4])

                   

Bracialetto d’oro con testedi serpenti che si affrontano (dal sito COMMA2 – Collegamento ipertestuale: fusillo3.wixsite.com/senzalimiti – autore della foto: Angelo Fusillo (che ringrazio qui per la Sua gentile autorizzazione)

 

In termini di oreficeria, abbiamo avuto la « fortuna[5] » di trovare ad Ercolano, nella bottega dell'incisore di gemme (gemmarius)[6], gioielli finiti o in via di rifinitura ed in particolare intagli[7] in corniola[8]  o pasta vitrea che imitano il cristallo di roccia, nonché una vile imitazione di un cammeo[9] in pastavitrea, ma che si rivela molto interessante dal punto di vista iconografico. Si tratta infatti di un sovrano ellenistico, uno degli ultimissimi Tolomei riconoscibile per il suo berretto simile a quello degli afgani e che si chiamava kausia[10].

 

Accanto a questi oggetti ritrovati da un professionista, gli affreschi ci parlano anche di questa insaziabile esigenza di ricerca del lusso, del desiderio inappagato di possesso, del desiderio di vivere in mezzo a un arredo sontuoso, insomma anche « impressionare con la galleria » : quelli del triclinio della villa di Oplontis, ad esempio, ci mostrano sontuose colonne decorate con oro, gemme, perle[11] e tralci metallici di vite.

 

Triclinium della villa di Oplontis (questo file è concesso in licenza in base alla licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported , autore : Amadalvarez, fonte : opera propria)

 

Non dimentichiamo nemmeno che il commercio dei metalli era fiorente, perché un gioiello è una parure: una pietra preziosa, ma anche il supporto (in bronzo, argento, oro) in cui è incastonato, con lo scopo di mettere in risalto la bellezza delle pietra e farla splendere in modo ottimale con la luce. Tuttavia, l'oro poteva essere indossato solo da persone di alto rango, appartenenti a classi sociali elevate come i senatori, perché questo metallo nobile era considerato come un segno di distinzione sociale (un « marcatore sociale »). Chi indossava oggetti d'argento o di bronzo apparteneva ipso facto alle classi meno favorite.

 

Gli artigiani locali, specializzati nell'importazione di queste preziose materie prime, nonché nella lavorazione di questi materiali e nella vendita di oggetti di lusso, erano quindi molto attivi in ​​quel periodo nella città di Ercolano. Questa tradizione è continuata fino ai giorni nostri da quando Resina, che ha sostituito Ercolano, era ed è tuttora la seconda città al mondo per la produzione di cammei. I mercanti sfruttavano anche il gusto degli abitanti di Ercolano per l'esotismo: il potere di acquistare ciò che viene dalla fine dal altre parte della terra: apparire nella società era una priorità, un valore più che mai applicabile ai nostri tempi (« essere visti »). Anche i mercanti trovarono ad Ercolano un luogo abbastanza favorevole ai loro commerci: un porto e potenziali clienti per vendere ambra dal Baltico[12], sete dalla Cina[13], lapislazzuli dall'Afghanistan, ...

 

Nelle sale a volta (rimesse per barche) situate sull'antica riva[14] di Ercolano, gli archeologi hanno anche fatto sontuose scoperte.

 

Fonte : sito « Romanoimpero » – Collegamento ipertestuale: https://www.romanoimpero.com/2010/02/ercolano.html[15]

 

Questi ci raccontano lo stato sociale dei cittadini che appartenevano alla borghesia cittadina: una copetta in onice (varietà di agata) rinvenuto accanto allo scheletro di una donna che indossava una collana composta da diverse pietre, con perline a forma di amuleti[16].

 

Copetta in onice (dal sito  https://mariasannino.com/ Collegamento ipertestuale: https://mariasannino.com/2019/01/15/lantica-herculaneum-e-la-preziosita-dei-suoi-gioielli/ – autore della foto: © Dottoressa Marina Sannino (che ringrazio qui per la Sua gentile autorizzazione)

 

La recente mostra SplendOri organizzata nel 2019 all'Antiquarium di Ercolano ha recentemente sottolineato il fatto che la gioielleria « ha rivelato anche l'organizzazione della civiltà romana dove il lusso e la sua ostentazione rispondono a precise regole sociali. ». Nel documentario « Lapilli del Parco Archeologico di Ercolano « SplendOri », il Dottore Francesco Sirano, il Direttore del Parco Archeologico di Ercolano spiega che « il ceto sociale principale di Ercolano era costituito dai liberti, cioè ex schiavi liberati che avevano accumulato immense fortune. quindi la possibilità di acquistare gioielli preziosi, ma anche il dovere, dal punto di vista simbolico del loro status, di vestirsi dignitosamente e di esporsi con essi[17] ». L’archeologo specifica che « ciò era particolarmente vero per il codice di abbigliamento degli antichi Romani[18] ».

 

Oltre a questa ostentazione di successo sociale, giocava un ruolo anche il contesto culturale: Ercolano confina, come scrive Strabone nella sua Geografia[19] (libro V, 4, 8) alla città greca di Neapolis (« Città Nuova » in greco), che svolse un'importante influenza culturale (sebbene sia divenuta romana, c'è una persistenza di spirito e greci : conserva ancora i suoi ginnasi, le sue efebie e le sue fratrie, le denominazioni lì erano generalmente greche, e filosofi, oltre che politici amavano incontrasi là).

 

Un'altra di queste stanze a volta ha consegnato un gruppo di gioielli d'oro che costituiscono la scoperta più notevole e preziosa fatta, fino ai giorni nostri, nella zona di Ercolano. Tra questi una lunghissima collana d'oro[20] (1,80 m) che veniva posta transversalmente sul petto (la catena, stringendo le pieghe dell’abito[21], metteva in risalto la silhouette femminile[22]) e due superbi bracciali con semisfere[23] che venivano indossati in coppia.

 

Collana in oro (dal sito  https://mariasannino.com/ Collegamento ipertestuale: https://mariasannino.com/2019/01/15/lantica-herculaneum-e-la-preziosita-dei-suoi-gioielli/ – autore della foto: © Dottoressa Marina Sannino (che ringrazio qui per la Sua gentile autorizzazione)

 

 

Braccialo con semisfere (dal sito COMMA2 – Collegamento ipertestuale: fusillo3.wixsite.com/senzalimiti – autore della foto: Angelo Fusillo (che ringrazio qui per la Sua gentile autorizzazione)

 

Si diceva che solo le persone piccole e deboli potessero indossare i braccialetti. Questo non è esatto: c'erano diversi formati. Alcuni gioielli erano chiaramente per uomini[24], ad es. il braccialetto[25] d'argento massiccio estremamente pesante (circa 500 g.) rinvenuto nella Grande Palaestra di Pompei (questo tipo di braccialetto era posto sulla parte superiore del braccio). Già presso i Greci esistevano gioielli pesanti (quello illustrato sotto pesa quasi 200 g.) e gli anelli dietro le teste dei Tritoni[26]  (maschio e femmina – una tritonessa –) erano appunto destinati ad attaccare i braccialetti alle maniche della veste, perché il loro peso li avrebbe fatti scivolare giù per le braccia.

 

(Foto di pubblico dominio – collegamento ipertestuale: https://www.metmuseum.org/art/collection/search/254842)

 

A proposito, si può  notare che i gioielli non erano necessariamente apprezzati per la loro bellezza, quanto piuttosto per la loro dimensione o il loro peso, almeno se ci riferiamo al Satiricon di Petronio, nell'episodio in cui Trimalcione si lamenta quando la moglie Fortunata si toglie i gioielli durante il festa: « Guarda, disse, l'armamentario di una donna! Cosa fare lì? E noi, poveri sciocchi, ci rovinano. Sei libbre e mezzo di peso è ciò che dovrebbe avere il braccialetto; ed io, nonostante ciò, ho una di dieci libbre, che avevo fatto con i millesimi di Mercurio. – E infine, per dimostrare che non era imponente, si fece portare una bilancia, e tutti dovevano controllare il peso. ».

 

L’armilla di Ercolano (SAP 78944-78945)

 

Secondo il Dizionario delle antichità greco-romane di Daremberg e Saglio, diversi termini erano usati, in latino, per designare bracciali o, più in generale, anelli, portati sia sulle braccia che sulle gambe, essendo « Armilla » il nome comune: brachiale o torque brachiale e spinther applicati più in particolare a quelli indossati sull'avambraccio. Secondo Festus[27], lo spinther era anche un braccialetto che le donne indossavano sul braccio in alto a sinistra, destrocherio e dextral erano i nomi riservati a quelli sulla mano e sul braccio destro. Troviamo anche la parola spatalium in Plinio usata anche per i bracciali portati al braccio o al polso.

 

I « Armillae » potrebbe essere (molto raramente[28]) dedicate come questa copia rinvenuta nel novembre 2000 a Moregine[29], su una vittima dell'disastro del 79: « Dom(i)nus suae ancillae » (« Da un padrone al suo schiavo »)[30]. Offrire un regalo così lussuoso e costoso (una libbra d'oro e due diamanti per gli occhi) a un semplice schiava[31] testimonia un amore incredibile, illimitato, cosmico e deve aver significato che questa donna significava molto per l'uomo a cui l'ha regalato ha dato, ma c'è una domanda che non capisco: perché il dominus non ha indicato semplicemente il suo nome ? Non lo sapremo mai: la coppia è morta a Moregine durante l’eruzione del Vesuvio. Alcune voci dicono che il padrone abbia passato lo stesso gioiello a tutti i suoi schiavi, il che spiegherebbe l'anonimato. La mia natura romantica mi incoraggia a preferire la versione poetica alla tesi pornografica. 


 Bracciale da Moregine (foto dal sito  https://twitter.com/anisekstrong/status/1169419088222986240?lang=bg – autore della foto : © Dr. Anise K. Strong, Associate Professor of History, Western Michigan University (che ringrazio qui per la Sua gentile autorizzazione)

 

Molti esempi di questo gioiello a braccio con maglie emisferiche sono stati scoperti a Pompei ed Ercolano. Ad esempio nella casa di Venere in bikini a Pompei (Museo Archeologico Nazionale di Napoli). Si trovano anche in altri musei del mondo, come ad esempio quello di Mariemont (inv. B.357). 


 
Bracciale del museo reale di Mariemont (inv. B.357), tavola I.1. dell'articolo di Véronique Lamy, L’Orfèvrerie romaine à Mariemont. De auris Pompeianis, In: Les Cahiers de Mariemont, volume 22, 1991, pagina 37 © Musée royal de Mariemont.

 

Véronique Lamy ce ne dà una buona descrizione nel suo articolo dedicato all'oreficeria romana a Mariemont[32] : è un braccialetto composto da coppie di semisfere cave, a loro volta delimitate da una doppia filigrana di perline, intervallate, al centro, da una semi-pallina d'oro. Questa filigrana, oltre ad essere un motivo elegante ed estetico, serve anche a nascondere la saldatura dei due emisferi, ma anche quella di altri elementi come gli anelli che assicurano il collegamento tra gli emisferi: un doppio anello unisce verticalmente i due emisferi di ogni coppia e questi due punti sono poi legati ad altri due, questi orizzontali, ciascuno posto sull'emisfero successivo.

 

Siamo colpiti dall'ingegnoso sistema di chiusura dell'esempio Mariemont: « La chiusura è costituita da un lato da una barra saldata perpendicolarmente agli ultimi emisferi. A questa barra sono saldati due cilindri cavi, disposti verticalmente con uno spazio libero tra ciascuno. L'altra estremità, invece, è costituita anche da una barra con due cilindri cavi centrali che si inseriscono tra gli altri due: i quattro sono poi uniti da un piolino curva in alto[33]. L'ultimo cilindro è internamente più stretto degli altri, formando un piccolo imbuto, in modo che il piolino non possa mai cadere o perdersi, essendo sempre trattenuta a quest'ultima da un rigonfiamento che funge da testata e la cui dimensione esattamente calcolata consente comunque il piolino per passare facilmente attraverso i cilindri superiori. In termini di oreficeria moderna, questo tipo di chiusura è noto come chiusura a baionetta[34]. ».

 

Una volta rimossa il piolino, l'ornamento può distendersi piatto, cosa ovviamente non possibile con un braccialetto realizzato in un unico pezzo: la flessibilità e la facilità d'uso dei bracciali e di altri gioielli articolati, spiegano che sono stati progettati in questo modo.

 

Gli emisferi dell'esemplare Mariemont contengono concrezioni nella loro parte interna concava. Secondo i risultati dell'analisi, commissionata dalla dottoressa Teresa Giove del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, della sostanza nera, è risultata essere cera d'api.

 

Plinio il Vecchio menziona, in più punti nel suo Libro XXVIII della sua Storia naturale, l'esistenza di vari braccialetti cavi nei quali venivano inseriti organi e sostanze animali o umane per realizzare amuleti protettivi[35], ma non menziona esplicitamente la cera come materiale. Anche altre copie oltre a quella di Mariemont sono apparentemente prive di concrezioni[36] (non sono completamente richiudibili, come ammette Véronique Lamy).

 

Non è escluso che questa cera provenga molto semplicemente dal processo di lavorazione del gioiello (poiché è altrettanto possibile che la sua presenza non abbia alcuna relazione con questo): « è tuttavia possibile immaginare che i due elementi in foglia d'oro stampati (siamo nella tecnica dello sbalzo) che costituiscono ciascuna semisfera, siano stati poi uniti tra loro mediante fusione di cera indurita, in modo da facilitare il montaggio[37]. Durante la saldatura, la cera si scioglie e fuoriesce attraverso un orifizio previsto a tale scopo. ». Questa cera resta quindi, per il momento, un punto interrogativo.


« Nell'antichità la saldatura veniva, il più delle volte, eseguita con una lega o con sali di rame. Il primo (chiamato saldatura) è spesso riconoscibile per le sue giunzioni spesse e traboccanti (si tratta soprattutto di un apporto metallico esterno, una lega simile a quella che costituisce il gioiello ma la cui temperatura di fusione è, ovviamente, più bassa). La saldatura con sali di rame consente di realizzare giunti particolarmente fini, che possono risultare invisibili ad occhio nudo, semplicemente perché non vi è aggiunta di materiale. Questo metodo (quindi senza saldatura) è particolarmente preferito per il fissaggio delicato dei granuli[38] . L'artigiano usa spesso una semplice lampada a olio, e una pipetta (bocca torcia) per dirigere il respiro sulla fiamma e controllarne così la temperatura[39] » (cfr. anche l'esperienza del Dottore Romain Prévalet, storico e trasmettitore di conoscenze[40]).

 

Antica tecnica di saldatura con torcia a bocca, © Romain Prévalet


Tornando agli emisferi, « va anche notato che questo tipo di elemento cavo è stato, regolarmente ma non sistematicamente, riempito con materiali inerti di varia natura, come lo zolfo in particolare[41]. Si trattava ovviamente di rinforzare queste strutture leggere in foglia d'oro, e di conferire loro una certa resistenza agli urti e ad altri incidenti. Si trattava anche di aumentare il loro peso senza aumentare i costi di produzione[42]. ».

 

La produzione di questi bracciali sembra piuttosto abbondante (sono stati individuati una trentina di esemplari[43]): oltre a quelli della casa di Venere in « bikini » a Pompei (museo archeologico nazionale di Napoli) e del museo di Mariemont (provenienza: villa di Fondo Bottaro a Torre Annunziata[44]), da segnalare un paio di bracciali rinvenuti nel tumulo Kocakizlar a Eskisehir in Turchia e il fatto che esiste anche un doppio braccialetto di provenienza sconosciuta in una collezione privata[45].

 

Noteremo anche come il design di questo gioiello sia moderno, al punto da essere ancora, come la catena, tra i set più venduti al mondo.

 

La moda di indossare questo gioiello è attestata su un affresco di Ercolano di un « Maestro ellenico » intitolato « Celebrazione di un aulete vittorioso[46] » (affresco n° 9021 conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli): in primo piano, la donna seduta, la testa circondata da edera, che tiene nella mano sinistra un volume con incrizione (probabilmente solo le parole della sua canzone[47]) e sembra dare, da destra, il ritmo ai due suonatori che le stanno accanto[48], porta un tale braccialetto sull'avambraccioe un altro più alto del gomito, ma nascosto da un capo di vestiario.

   

A sinistra l’affrescho n° 9021 © MANN (su concessione del Ministero della Cultura – Museo archeologico Nazionale di Napoli  foto di Luigi Spina) ; a destra, un detaglio del armilla (Foto ridimensionata da CommonsWikimedia[49] (ArchaiOptix - Opera propria).


 La collana lunga (catena) in oro intrecciato (SAP 78943)


Poche catene di corpi sono giunte fino a noi, da qui il grande interesse di questa scoperta.

 Si tratta di una lunga collana (1,80 m di lunghezza in oro intrecciato con la tecnica del « loop-in-loop[50]  » che termina ad un'estremità con un gancio e all'altra con un fermaglio a forma di ruota o di rosetta.

 

Questa tecnica « loop-in-loop », molto comune nella gioielleria ellenistica, è magistralmente spiegato nell’articolo « Les ors hellénistiques et romains de Mariemont II. Matériaux, techniques et savoir-faire des orfèvres antiques » (In: Les cahiers de Mariemont, volume 40, 2016. « Trésors hellénistiques », p. 142) : «  E’ attestata la realizzazione di catene ad anelli collegati l'uno all'altro per tutta l’antichità. (...). Le maglie, lunghe circa 1,5-2 mm, sono costruite con filo d'oro (tipo cavo ritorto) 0,3-0,4 mm di diametro, le cui estremità sono saldate a formare un anello ovale. I collegamenti sono quindi piegati a metà e successivamente infilati l’uno nell’altro attraverso l’anello cosi formato. Non è richiesta alcuna saldatura per infilare le maglie della catena a quadrato semplice. Da questa catena di base, collane molto più complesse possono essere elaborate dalla giustapposizione di più catene semplici o doppie che offrono l'aspetto sontuoso di un ampio nastro d'oro intrecciato. ».

Schema di una semplice catena quadrata, dopo T. Hackens e R. Winkes, Gold jewelry, Louvain-La-Neuve, 1983, p. 206, fig. 50 (disegno di Madame Marie Moreau) in: Les Cahiers de Mariemont, volume 40, 2016. Tesori ellenistici, pagina 142 © Les Cahiers de Mariemont

 

Questo gioiello è stato posto sopra la spalla sopra l'indumento: la catena[51] d'oro era portato stretto in vita e incrociato sul busto e sulle spalle. Questa disposizione consentiva di enfatizzare la silhouette femminile. A volte su queste catene pendevano ogni sorta di piccoli ciondoli, ninnoli, semplici giocattoli o amuleti che avrebbero dovuto fornire protezione contro la sfortuna.

 

Questo tipo di ornamento era già stato osservato sulle figure femminili sdraiate sul coperchio delle urne funerarie etrusche (ciste), di cui un esempio è mostrato di seguito con la « Donna allo specchio[52] » al Museo del Louvre, ma anche su dee che appaiono su specchi (come nel caso di Eris sul pezzo B. 206 del museo di Mariemont). Un rosone era già utilizzato come fermaglio (clusura). 

  

A sinistra, « Donna con specchio » da un'urna etrusca di Volterra (Museo del Louvre, questo file è sotto la licenza Creative Commons license Attribution 3.0 Unported – autore: Kikuyu3 (fonte : opera propria)) ; a destra, specchiera etrusca dal Musée Royal de Mariemont, inv. B 206 fine del IV secolo a.C. J.-C. (Disegno tratto dalla pubblicazione di R. LAMBRECHTS, CSE, Belg. I, Roma, 1987, tav. 25 d.)


La catena continuerà ad essere molto popolare, poiché questo tipo di ornamento si trova ancora in epoca tarda[53] (nel IV o V secolo d.C.) e ai confini dell'Impero (in Gran Bretagna dove è presente una catena nel tesoro di Hoxne[54], in un modello diverso[55], ma il principio rimane sempre lo stesso). 


  

 Catena del corpo d'oro dal tesoro di Hoxne (questo file è sotto la licenza Creative Commons license Attribution 3.0 Unported – autore: JMiall (fonte: opera propria)

 

La rosetta era talvolta investita anche di una funzione pratica in certi tipi di catene: quindi, nel tipo I, era mobile, ci dice Héron de Villefosse, e serviva per regolare (alzare o abbassare) il punto di giunzione delle catene al livello del torace, mentre la seconda rosetta nella parte posteriore era fissa[56]. Nel caso della collana SAP 78943, la catena è semplice e termina a un'estremità con una ruota a sei razze e all'altra con un gancio.

 

È chiaro che molti gioielli sono « simboli indossabili ». Se questo rosone sia dotato anche di un valore simbolico (la ruota della fortuna – equivalente romano del greco Tyche – o Rota Fortunae in latino), la sua analisi merita un articolo tutto a sé, visti gli sviluppi che comporterebbe, ma anche tutte le misure prudenti di cui sarebbe necessario circondarsi. La catena stessa potrebbe essere vista in modo molto ambivalente: o, poiché avvolge il corpo, come un elemento protettivo – come la lunula[57] a punte congiunte che le è attaccata come ciondolo –, o come un ostacolo, un simbolo di ritegno, una privazione della libertà. Tuttavia, l'interpretazione delle forme e dei simboli dei gioielli è una questione estremamente delicata e affare di esperti seri e ben precisi: storici esperti in questo campo, archeologi specializzati, filologi, specialisti di testi e iscrizioni, ecc. Ho quindi stimato che questo aspetto non trovasse il suo posto in questa presentazione che vuole essere generalista.

 

Plinio menziona queste catene (catene) nel libro XXXIII, 12, 2 della sua Storia naturale quando evoca la moda di portare l’oro su di sè (« Lasciate che le donne indossino l’oro sulle braccia (...) che catene d’oro corrono intorno al loro corpetto »). Il Digest[58] (Libro XXXIV, totolo II, 31) allude anche a un ornamento della gola (« Lo stesso il giureconsulto ha deciso la stessa cosa in quest’altro caso, in cui una donna aveva lasciò in eredità un ornamento della gola composto da trentaquattro pietre e trentaquattro perle, e poi tirò fuori quattro pietre e sei perle. ».

 

Questi testi sono chiariti al meglio quando si guardano i dipinti o le sculture che rappresentano donne o dee al cui collo è sospesa a vera catena o un lungo cordone di perle, pietre o pendenti, a volte semplice e portato a spalla, in una sciarpa (affresco di Arianna portata in aria da Bacco[59]) a volte doppia, incrociando tra i seni e circolando intorno al corpo (affrescho di Marte e Venere[60], inv. 9248). Entrambi i pezzi sono nel Museo Archeologico Nazionele di Napoli. 

    

  

Progetto Gutenberg Licenza inclusa)       (Opera nel pubblico dominio : fonte Wikipedia) 



(Opera nel pubblico dominio : fonte Wikipedia)


Questo maglione che si incrocia tra i seni e passa dietro i reni è molto vecchio attributo di Venere (conosciuto fin dal IV sec. a.C.), ma era anche quello delle cortigiane.

 

A Pompei si può citare l'esempio dell'affresco di Marte e Venere nella casa dell'Efebo dove Venere indossa una collana simile che si snoda come un fiume tra i due seni e lungo le curve del suo corpo. A differenza del precedente affresco di Marte e Venere, Marte ha sempre le sue armi addosso. Nell’affresco della Casa di Salustio a Pompei (MANN), la dea è vista togliere o indossare una collana. 

  

A sinistra, affrescho di Marte e Venere dalla casa dell’Efebe (fonte : sito « Romanoimpero » – Collegamento ipertestuale: https://www.romanoimpero.com/2020/02/villa-dellefebo-pompei.html)[61] ; a destra, affrescho di Marte e Venere dalla Casa di Salustio (foto di pubblico dominio – autoreWolfgang Rieger – fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pompeii_-_Casa_de_Sallustio_-_Mars_and_Venus_-_MAN.jpg)


L'affresco gravemente danneggiato della Casa del Bicentenario di Ercolano sembra avere « esattamente » la stessa disposizione di quello dell'affresco di Marte e Venere nel MANN, tranne per il fatto che la figura di Venere sembra priva della catena che porta quella del dipinto di Pompei . Essendo l'affresco di Ercolano molto deteriorato, mi è impossibile, allo stato attuale delle cose, poter affermare che in origine ne avesse uno.

Aggiungiamo che la rappresentazione della catena non si limitava all'affresco, ma si infiltrava anche nell'arte sorella della pittura, il mosaico, come testimonia un'opera di Sabratha, che rappresenta le tre Grazie e mostra, dettaglio particolarmente interessante, la disposizione dei questa catena sul dorso di una dei Grazie. Si noti inoltre che l'opera è stata ritrovata, sempre (cfr. il tesoro di Hoxne), ai confini dell'Impero Romano (Sabratha è una città della Tripolitania, sulle rive dell'odierna Libia). Comprendiamo quindi meglio il successo di questo gioiello notando la sua dispersione nel bacino del Mediterraneo e ben oltre e la sua persistenza nel tempo (dopo la caduta dell’Impero d’Occidente, Bisanzio prese il testimone).

 

Foto dal sito « Via Temporis » (per gentile concessione del Sig. Philippe Ferrando, Presidente di SAS Via Temporis – fonte : https://viatemporis.net/ROMAN-MOSAIC-MOSAIC-OF-THE-THREE-GRACE)

 

In effetti, questo motivo è abbondato almeno dall'antichità greca in tutte le arti, dalla ceramica (su una figura femminile da un askos al British Museum[62], o su una menade da un cratere a calice etrusco nell'Altes Museum di Berlino[63]), alla scultura (sull'Afrodite del Museo Archeologico di Canakkale, Troia (Ilion), nell'odierna Turchia o la Vittoria – Niké – di Oplontis[64]) attraverso mosaici, pittura e scultura in bronzo. Molte dee – e non solo Afrodite - hanno fatto proprio questo ornamento della catena del corpo: anche la virtuosa Atena Alkidemos[65] sfoggia il suo gorgoneion attaccato con una catena.

    

 

A sinistra, l'Afrodite di Cnida del Museo Archeologico di Canakkale (© Graine de Stambouliote) ; a destra, una terracotta dell’Athena Alkidemos del’museo archeologico di Pella (Licence : Attribution-NonCommercial-ShareAlike 1.0 International © site Livius.org | Jona Lendering)


Virginie Girod, nel suo articolo « L’érotisme discret du sein dans les représentations artistiques sous le Haut-Empire[66] », fa giustamente notare « la cassa, da quando può essere percepito come un attributo sessuale, potrebbe essere adornato allo scopo per erotizzarlo di più » e cita due esempi espliciti in cui viene indossata questa lunga collana come attributo intenso a migliorare il carattere sessuale del corpo e del seno della donna la scena rappresentata nel vano IV dell'apodyterium delle terme suburbane da Pompei[67] e quella che compare sulla copertina di uno specchietto ritrovato sull’Esquilino (antiquarium communale di Roma, inv. 13694)[68]. Questa funzione erotica del gioiello è illustrata dal testo « Les Bijoux » di Charles Baudelaire: il poeta descrive una donna nuda, adornata solo con i suoi gioielli « sonori », che si offre all'amore del narratore, deliziato « estaticamente [da] questo mondo radioso di metallo e pietra[69] ». 

 

  

(Opere nel pubblico dominio : fonte Wikipedia, John R. Clarke, Ars Erotica. Darmstadt, Primus Verlag 2009)

 

Citiamo anche Paul Veyne che, nel suo libro Sexe et pouvoir à Rome, colloca il punti sulla « i », nel senso che si immagina sempre - perché si fa lettura estremamente superficiale – sesso a Roma in modo decadente, sfrenato, orgiastico (non è detto « un'orgia romana », quando è « una costruzione moderna[70] » ?). Si tratta infatti di una fantasia ottocentesca (cfr. il dipinto di Thomas Couture, I Romani della decadenza, dipinto nel 1847 e conservato nel Museo d’Orsay a Parigi). Bisogna ammettere che il film di Fellini ha aggiunto uno strato (magistrale e molto estoverso).

 

Paul Veyne ci restituisce il suo vero volto e ne circoscrive molto precisamente il posto una società piena di tabù.

 

Torniamo a Venere ea questa disposizione della catena in X[71] sul petto. Osiamo pura congettura, ma vale il suo peso in oro (se posso permettermi questo gioco di parole): potrebbe essere un’allusione nascota ad altre catene? Quelle che lo stesso Vulcano ha forgiato per intrappolare i due amanti « sotto il piumone[72] »?

 

Come mostrato in questa terracotta del IV secolo a.C. trovata a Alessandria dello Stoccarda, Württembergisches Landesmuseum, collezione Sieglin[73], le catene che reggono la volubile e sculturea Afrodite (e il suo focoso amante), si incrociano anche per formare una X.

 

© Landesmuseum Württemberg, P. Frankenstein / H. Zwietasch



Bibliografia (per non aumentare inutilmente il numero di pagine di questo articolo, la bibliografia « cartacea » è incorporata nel testo)

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[1] L’ultima eruzione risale all’età del bronzo.

[2] Chiamiamo anche Pliniano il getto eruttivo che sale fino a poche decine di chilometri nell'alta atmosfera e si estende come un ombrello, da cui sedimentano pomice e cenere sotto forma di pioggia.

[3] Il motivo del serpente costituisce un talismano apotropaico legato alla dea Iside, definita « regina del cielo » da Apuleio nelle sue Metamorfosi (libro XI). Il suo culto era stato portato a Roma dove era stato accolto con grande entusiasmo dal gentil sesso (Iside personificava la fertilità), ma anche dai marinai (era anche una divinità del mare e dei buoni viaggi, come il santo Cristoforo degli automobilisti di oggi : vedi la festa del Navigium Isidis). Dopo la morte di Cleopatra, questo culto misterioso fu abolito da Augusto che vide in esso un simbolo di corruzione. Ma nel I secolo d.C. il culto isiaco fu ripreso. Il grande tempio di Iside e Serapide installato nei pressi del Campo di Marte a Roma è scomparso, ma uno dei templi di Iside meglio conservati si trova proprio nella regione vesuviana, a Pompei (i dipinti sono conservati al MANN). Cfr. anche L’Egypte à Rome (atti della conferenza di Caen del 28-30 settembre 2002), Les Cahiers de la MSRH, n° 41, gennaio 2005. Il serpente è anche l’attributo di Esculapio (cfr i resti scultorei dell’Isola Tiberina a Roma).

[4] « Le immagini inserite nei post non sono di proprietà del sito, ma vengono pubblicate, in forma non originale,  per scopi solo didattici e divulgativi, nel rispetto del comma 1-bis dell’articolo 70 della legge n. 633 del 22 aprile 1941, « Protezione del diritto d’autore e di altri dirittti connessi al suo esercizio ». Contestualmente chiunque voglia utilizzare materiale presente su Romanoimpero può farlo citandone però la fonte e l'indirizzo. Peraltro si attribuiscono testi e immagini ai rispettivi autori ove questi siano riconoscibili, ma se la loro pubblicazione violasse dei diritti d'autore, si prega di comunicarlo e provvederemo alla rimozione o alla citazione dei loro creatori.. » (fonte : https://www.romanoimpero.com/2015/03/info.html).

[5] Come recitava lo slogan della mostra itinerante negli Stati Uniti del 2011 su Pompei (« Un giorno a Pompei ») : « quello che la natura ha distrutto, lo ha anche conservato. ».

[6] La Casa della Gemma, nella zona denominata Insula Orientalis 1 (ha subito (2020 – 2022) importanti lavori di restauro).

[7] Pietra pregiata incisa nella cavità. C'erano infatti due tecniche utilizzate nell'arte della glittica (letteralmente « oggetto inciso », cioè l'arte dell'incisione di pietre fini) che consisteva nell'incidere le pietre o incava (intaglio), o in rilievo (cameo)).

[8] L'etimologia di corniola deriva dal latino corneus, « corneo » (uno dei due riferimenti proposti è il frutto del sanguinello maschile, il corniolo – cornealus – con un nucleo duro simile a un corno. Questa pietra preziosa è una varietà rossa di calcedonio Fu usato a lungo nell'antico Egitto (in associazione con il lapislazzuli o turchese) per il valore simbolico del suo colore (del sole che sorge e tramonta).I Romani amavano le pietre estremamente colorate e in particolarela corniola formata con il macchie di colore dorate piacevole alla vista.

[9] Pietra pregiata (agata, ametista, onice) incisa a rilievo per evidenziare i suoi strati variamente colorati.

[10] Da Pompei a Roma, Histoires d’une éruption, Europalia Italia, 2004, pagina 59.

[11] Si noti che le perle erano molto rare nell'antichità: non ce n'erano nel bacino mediterraneo e dovevano essere importate da zone più remote. Nella sua Storia Naturale (IX, 54), Plinio il Vecchio indica i luoghi dove si pescavano le perle del suo tempo (soprattutto nell'Oceano Indiano) e quelli da cui provenivano le più pregiate (dalle coste dell'Arabia, sul Golfo Persico). In questa occasione parla delle due famose perle di Cleopatra (che servivano da orecchini), allora stimate in dieci milioni di sesterzi. Secondo lui, durante una scommessa con Antoine, la regina d'Egitto ne avrebbe fatto sciogliere uno nell'aceto prima di ingoiarlo. Plinio (Storia naturale, Libro IX, 55) cita, in tono giocoso e con un tocco di misoginia (la società romana era una società rigidamente patriarcale e patrilineare): « Le donne sono fiere di caricarsene le dita, e di appenderne due e tre in orecchie. Ci sono nomi e raffinatezze per questo oggetto di lusso inventato per eccessiva corruzione. Un orecchino che porta due o tre perle si chiama campana, come se alle donne piacesse il rumore e allo shock di queste perle. Già i meno abbienti intaccano questi gioielli; dicono che una perla è il littore di una donna in pubblico. Anzi, lo portano ai loro piedi; ne adornano non solo le corde della calzatura, ma anche l'intera calzatura; non basta più indossare le perle, bisogna calpestarle e camminarci sopra.».

[12] La maggior parte di ciò che sappiamo sull'origine dell'ambra (risultante dalla fossilizzazione – e quindi solidificazione – di un'oleoresina secreta dalle conifere diverse decine di milioni di anni fa) nei Romani ci viene da Plinio il Vecchio, Storia naturale XXXVII.42- 46. Pochissime cose ci vengono riportate da Tacito, nella sua Germania (Libro XLV, 4-5): È il nostro lusso che ha fatto la reputazione di questa materia. La gente del paese [gli Estiens, un popolo germanico che vive vicino al Baltico e negli attuali Stati baltici] non ne fa uso. Lo raccolgono crudo, ce lo danno informe e si meravigliano del prezzo che gli diamo ». Plinio scrive che Nerone inviò una spedizione sulle coste della Germania (questa resina fossile essendo estremamente rara nel Mediterraneo) per acquistare molta ambra: racconta come, alla fine del regno di Nerone, intorno al 65-68, un cavaliere romano fosse inviato nell'attuale Polonia alla ricerca dell'ambra per adornare l'anfiteatro durante i giochi circensi, un decoro che si rinnovava ogni giorno! Plinio ci fornisce tutti i dettagli dell'itinerario di questa spedizione, che partì da Carnuntum (non lontano da Vienna) e percorse 900 km per raggiungere le coste del Baltico. Così come esisteva una « via della seta », esisteva anche una « via dell'ambra » (https://it.wikipedia.org/wiki/Via_dell%27ambra), una delle più importanti rotte commerciali dell'antichità classica (risale all'età del bronzo). A Plinio si deve il nome di questa strada che collegava il Mar Baltico al Mar Mediterraneo, seguendo il corso della Vistola, dell'Elba e del Danubio (vedi la tavola di Peutinger). Per maggiori dettagli su questo argomento leggi l'eccellente opera di Attilio Mastrocinque, L'ambra e l'Eridano (Studi sulla letterature e sul commercio dell'ambra in età predomina), Este, ed. Zielo, 1991.

[13] Tinta di viola, valeva il suo peso in oro. Poco dopo la conquista dell'Egitto nel 30 a.C. J.-C., viene avviato un regolare commercio tra i Romani e l'Asia, segnato dall'appetito insaziabile dei  Romani per la seta che acquistano tramite i Parti, con i quali erano costantemente in guerra per il controllo degli 11.000 chilometri (!) lunga via carovaniera che collegava l'estremo oriente ai porti del Mediterraneo. Questa attrazione era così importante che il Senato romano decise, invano, di vietare l'uso della seta (almeno tentò, con decreto, di limitarne l'uso alle donne) tanto per ragioni economiche che morali: l'importazione di La seta cinese ha causato un grande deflusso di oro verso l'estero, mentre gli abiti di seta erano visti come un segno di decadenza e immoralità. I Romani lo credevano di origine vegetale (Plinio, Storia naturale, VI, 20 e Virgilio, Le Georgiche, II, v. 120-121), ma sapevano che proveniva dalla terra dei Sères (i « setosi): Siero (il nome deriva dal termine cinese si che designa la seta). Tuttavia, a causa di uno parte dei Parti (che esercitava pressioni crescenti sul commercio delle carovane e appesantiva il prezzo delle merci con commissioni esorbitanti), e dall'altro degli Unni (che causavano insicurezza lungo il suo percorso), la via delle carovane divenne impraticabile ed era necessario cercare altri passaggi. Il commercio tra Romani e cinesi vivrà un grande boom quando i navigatori europei impareranno a usare le correnti ei venti del monsone (il cui fenomeno fu scoperto dal marinaio greco Hippalos). Viene quindi offerta loro la possibilità di attraversare l'Oceano Indiano e raggiungere l'India meridionale dissociando temporalmente il viaggio di andata e ritorno: le navi mercantili romane salpavano in estate per l'India sfruttando il vento del sud.-Oceano Indiano occidentale e lasciavano l'India in inverno facendo affidamento su venti contrari per tornare al loro porto di origine (evitando le coste infestate dai pirati dell'Arabia e dei tifoni dell'Oceano Indiano). Un manuale scritto in greco ad uso dei navigatori descrive questa nuova rotta verso Oriente: il Periplo del Mar Eritreo (antico nome greco per il Mar Rosso). I Romani disponevano di navi abbastanza adatte alla navigazione in alto mare e potevano quindi navigare verso l'India o l'Oriente. Queste prospere rotte commerciali, tuttavia, sarebbero  diminuite alla fine dell'Impero Romano. Per maggiori dettagli, vedere in particolare De Rome à la Chine. Sur la route de la soie au temps des Césars di Jean-Noël Robert (Les Belles Lettres, 1993) e il documentario franco-giapponese diretto da Patrick Cabouat dal titolo « Des Romains au cœur de la Chine » (2004).

[14] Gli scavi erano ancora in corso su questa riva nel 2021 (anno del ritrovamento dello zaino di un ufficiale della Marina Imperiale, presumibilmente un soldato della flotta di soccorso di Plinio), ma il Dottore Francesco Sirano, Direttore del Parco Archeologico di Ercolano, ha assicurato che in « 2023 la spiaggia sarà restituita ai visitatori, con ripavimentazione ma, soprattutto, con l'antica sabbia nera vulcanica che ne caratterizzava le coste, già ricomparsa durante gli scavi delle campagne degli anni '80, con Giuseppe Maggi » (fonte: https://www.romanoimpero.com/2018/11/tesoro-di-pompei.html).

[15] « Le immagini inserite nei post non sono di proprietà del sito, ma vengono pubblicate, in forma non originale, per scopi solo didattici e divulgativi, nel rispetto del comma 1-bis dell’articolo 70 della legge n. 633 del 22 aprile 1941, « Protezione del diritto d’autore e di altri dirittti connessi al suo esercizio ». Contestualmente chiunque voglia utilizzare materiale presente su Romanoimpero può farlo citandone però la fonte e l'indirizzo. Peraltro si attribuiscono testi e immagini ai rispettivi autori ove questi siano riconoscibili, ma se la loro pubblicazione violasse dei diritti d'autore, si prega di comunicarlo e provvederemo alla rimozione o alla citazione dei loro creatori. » (fonte : https://www.romanoimpero.com/2015/03/info.html).

[16] Da Pompei a Roma, Histoires d’une éruption, Europalia Italia, 2004, pagina 67.

[17] Vedere Lapilli del Parco Archeologico di Ercolano « SplendOri Sky Arte » (https://www.youtube.com/watch?v=o66WfTmdeRE).

[18] Diverse leggi suntuarie (dal latino sumptus che significa « spesa », queste leggi aventi l'obiettivo di limitare la spesa dei privati) furono emanate in particolare da Cesare e Augusto, ma non sembrano aver avuto alcun effetto. Inoltre, raramente si riferiscono all'ornamento, compresi i gioielli, e non abbiamo informazioni, a conoscenza di Marianne Coudry, su possibili esenzioni. Come parte dei suoi articoli, Marianne Coudry dell'EFR ha analizzato il comportamento economico delle élite della Roma repubblicana nei confronti di queste leggi suntuarie. La Sig.ra Coudry ha inoltre redatto gli avvisi di leggi suntuarie consultabili on line sul sito LEPOR (Leges Populi Romani), cliccando su « thèmes de lois » nel banner nero della home page (http://telma .irht. cnrs.fr/outils/lepor/categorieslois/). Infine, ha anche scritto un articolo generale, con una tabella riassuntiva delle leggi, di cui ecco il riferimento: « Loi et société: la singularité des lois somptuaires de Rome », CGG, 15, 2004, p.135-171 (è accessibile online sul sito di Persée, i CCG sono i Cahiers du Centre Glotz – Collegamento ipertestuale : https://www.persee.fr/doc/ccgg_1016-9008_2004_num_15_1_861). Si veda anche il sito https://iletaitunefoislebijou.fr/2020/07/les-lois-somptuaires-contre-le-luxe-et-les-femmes/ che spiega pedagogicamente i tre obiettivi di queste leggi suntuarie (politico, a sostegno della sforzo bellico, in particolare attraverso il riciclaggio dei metalli preziosi convertendoli in armi o valuta, il richiamo all'ordine sociale, l'instaurazione di un ordine morale distogliendo l'attenzione della popolazione dal lusso per far dimenticare tutti gli altri problemi). Inutile dire che queste leggi erano rivolte principalmente alle donne. L'articolo allude anche alla prima manifestazione femminista della storia: per celebrare l'abrogazione della Lex oppia, che vietava alle donne di indossare più di 14 grammi d'oro, oltre a vestiti viola), le donne sfilavano per le strade di Roma indossando i loro gioielli più imponenti e i loro abiti più lussuosi (Livio, Storia romana, Libro XXXIV – 34).

[19] « La fortezza di Ercolano confina, si potrebbe dire, con la Neapolis: occupa un promontorio che si protende nel mare in modo da ricevere in pieno il respiro delle Labbra o Africus e questa mirabile esposizione rende il soggiorno particolarmente salutare ».

[20] Da Pompei a Roma, Histoires d’une éruption, Europalia Italia, page 68.

[21] Potresti indossarlo sopra i vestiti o senza, « per essere più « sexy » come dice Virginie Girod (https://www.terrafemina.com/article/sexe-virginie-girod-brise-les-tabous-sur-sexuality- in-antica-roma_a350792/1).

[22] Cfr. Catene del corpo al giorno d’oggi.

[23] Da Pompei a Roma, Histoires d’une éruption, Europalia Italia, page 69.

[24] Trimalchion lo indossa nel Satiricon, ma lo avevano anche imperatori come Caligola, N: erone, Eliogabalo. Questi esempi dimostrano che tale lusso nell'ornamento – che sarebbe stato certamente severamente disapprovato dagli Antichi Romani della Repubblica – avrebbe potuto essere più diffuso di quanto si pensasse: è comunque ciò che si può postulare secondo le dimensioni, il peso e la fattura di certi bracciali che difficilmente potevano essere destinati alle donne. In effetti, sia gli uomini che le donne indossavano gioielli, comprese spille o spille per tenere fermo il mantello. Presso gli Etruschi, sia le donne che gli uomini indossavano gioielli.

[25] Questo è un braccialetto a forma di serpente a spirale. Cfr. Da Pompei a Roma, Histoires d’une éruption, Europalia Italia, pagina 148.

[26] Ognuno di loro porta in braccio un piccolo Eros alato. Vedere il sito web del Metropolitan Museum of Art (https://www.metmuseum.org/art/collection/search/254842).

[27] Festus Grammaticus (nome di nascita Sextus Pompeus Festus) era un grammatico latino della fine del II secolo d.C. J.-C. avendo forse vissuto a Narbonne (Narbo) compose, sotto il titolo di De Significatione Verborum, una sorta di prezioso dizionario per la conoscenza delle antichità romane, della lingua latina e della mitologia.

[28] Da Pompei a Roma, Histoires d’une éruption, Europalia Italia, page 182.

[29] Moregine si trova a sud di Pompei, vicino al porto di quest'ultima. Costruendo un'autostrada, lavoratori hanno scoperto un complesso architettonico comprendente un insieme di bagni, sale da pranzo con, sopra, camere da letto (una specie di club house). I vari edifici hanno consegnato un gran numero di corpi di latitanti. Forse speravano di fuggire prendendo il fiume Sarno, ora scomparso e che passava a 600 metri dalle mura della città (vedere il sito https://sites.google.com/site/ad79eruption/neighbouring-area/murecine).

[30] Cf. Felice Costabile, « Ancilla Domni : una nuova dedica su armilla aurea da Pompei » In: Minima epigraphica et papyrologica : IV, 6, 2001, cosi come Pier-Giovanni Guzzo e Vincenzo Scarano Ussani, « La Schiava di Moregine », Mélanges de l’Ecole française de Rome, année 2001, 113-2, pp. 981-997.

[31] Da confrontare con la collana da schiavo scoperto nelle Terme di Diocleziano a Roma (vedere il sito https://la-sylve-de-louvemeraude.fr/fr/produits/divers-materiel-d-animation/collier-d-esclave-romain).

[32] Véronique Lamy, L’orfèvrerie romaine à Mariemont. De auris Pompeianis, In : Les cahiers de Mariemont, volume 22, 1991 – Collegamento ipertestuale : https://www.persee.fr/doc/camar_0776-1317_1991_num_22_1_1082.

[33] Ciò conferisce alla chiave della copia di Mariemont l'aspetto di un imbroglione, il che non è il caso del braccialetto di Ercolano.

[34] Véronique Lamy, L’orfèvrerie romaine à Mariemont. De auris Pompeianis, In : Les cahiers de Mariemont, volume 22, 1991, page 28.

[35] Citiamo in particolare i gioielli cavi come la bulla analizzata da Véronique Dasen, Professoressa a l’università di Friburgo (CH) el suo articolo « Amuleti per bambini nel mondo greco-romano », Latomus, T. 62, Fasc. 2 (aprile-giugno 2003), pp. 275-289, Società di studi latini di Bruxelles. Ce ne dà in particolare l'origine etimologica: « Gli antichi chiamavano questo ciondolo cavo bulla, formato da due dischi di metallo convessi, per la sua forma « gonfia come una bolla d'acqua » (Isidore, Origines XIX, 31, 11 ; XX, 8 , 2). ».

[36] L'esempio del braccialetto del National Museum of Scotland contiene ceneri, a testimonianza del desastro (https://www.nms.ac.uk/explore-our-collections/collection-search-results/bracelet/411464). Ma un braccialetto di una collezione privata messo in vendita da Christie's ha resti di riempimento di zolfo (https://www.christies.com/en/lot/lot-5882234). Quanto all'armilla con gli emisferi della casa di Venere nel « bikini », conserva al suo interno una sostanza verdastra che si suppone sia anch'essa zolfo (Antonio d'Ambrosio, Ernesto de Carolis, I monili dall'area vesuviana, pagina 36).

[37] Per avere una migliore presa sull’ogetto.

[38] Anche nel 21° secolo, la granulazione etrusca rimane un enigma: se sappiamo fabbricare, grazie alle tecniche moderne, granuli così minuscoli, gli archeologi non sanno ancora come gli orafi riuscissero a raggiungere un tale grado di perfezione 2.700 anni fa.

[39] Queste informazioni mi sono state gentilmente fornite via e-mail dagli esperti di gioielli antichi, la dott.ssa Corinne Besson e il Dottore Cyril Thiaudière, che qui ringrazio sinceramente.

[40] Ringrazio il Dottore Romain Prévalet per avermi permesso di utilizzare la fotografia qui sotto.

[41] Perché zolfo? La questione è difficile da risolvere: può esserci un interesse geografico ed economico, questo materiale può essere relativamente facile da reperire e poco costoso, a seconda dell'ubicazione del sito produttivo. Ha interessanti qualità plastiche e fisiche? Ci vorrebbe una serie di analisi specifiche per determinare le ragioni del suo utilizzo.

[42] Queste indicazioni mi sono state comunicate anche via e-mail dagli esperti di gioielli antichi, la dott.ssa Corinne Besson e il Dottore Cyril Thiaudière.

[43] Véronique Lamy, L’orfèvrerie romaine à Mariemont. De auris Pompeianis, In : Les cahiers de Mariemont, volume 22, 1991, pagine 28-29.

[45] Ibid., page 29.

[46] Jean Charbonneaux, Roland Martin, François Villard, Grèce hellénistique (330-50 av. J.-C.), Gallimard, 1970, (pagina 121, illustrazione n° 120) e Antiquités d'Herculaneum, Tomo III, tavola XXX. Infatti si potrebbe chiamare questa scena un piacevole concerto, quello che i greci chiamavano acroama. Il soggetto è quindi un concerto o la prova di un concerto che si svolge nel Choragium.

[48] Al centro, seduto davanti allo spettatore, un aulete, guance gonfie, viso arrossato e occhi sporgenti, guancia del doppio aulos, la phorbeia legata intorno alla bocca. Con il piede sinistro, appoggiato su un poggiapiedi, sembra segnare anche lui il ritmo. Accanto a lui, una fanciulla, in piedi, coronata di rose si dedica a suonare la kithara, pizzicando le corde del suo strumento con il plettro. Due figure coronate d'edera stanno in fondo alla stanza. Si veda anche l'articolo di Annie Bélis, « La  phorbéia », Bulletin de Correspondance Hellenique, anno 1986, 110-1, pp. 205-218.

[50] Si chiama « coda di volpe » nella moderna terminologia della gioielleria.

[51] Vedi l'articolo corrispondente nel Dictionnaire des Antiquités Grecques et Romaines de Daremberg et Saglio.

[52] La dama tiene in mano una cassa quadrangolare con uno specchio in bronzo di cui non rimane alcuna copia fino ad oggi.

[53] La tarda antichità è il periodo che un tempo era chiamato Basso Impero.

[54] Hoxne si trova nel Suffolk, una contea nell'est dell'Inghilterra. È il più grande tesoro di argento e oro tardo romano scoperto (nel 1992) in Gran Bretagna.

[55] Al posto del rosone, la clausura qui consiste in un gioiello composto da un'ametista e quattro granati (probabilmente mancano quattro perle nelle fessure vuote) montati in celle d’oro.

[56] Héron de Villefosse, Le trésor de Boscoreale, Paris, 1899, 270.

[57] Letteralmente « piccola luna » come il machia chiara che abbiamo alla base di ogni unghia (più pronunciata sul pollice). Questo nome « lunula » deriva dalla dea romana Luna (Artemide tra i Greci).

Nelle sue fondamenta, la religione romana aveva riservato un posto importante alla luna, tanto che anche il calendario, una questione di religione, era governato dal ciclo lunare, fino a quando non fu abolito da Giulio Cesare. Quest'ultimo stabilì al suo posto il calendario solare – detto Giuliano – propugnato dall'astronomo greco Sosigene di Alessandria (tuttora in vigore, dopo la riforma gregoriana del 1582), nel quale non era necessaria alcuna correzione. La religione romana classica, da parte sua, sarà fondamentalmente solare. Tuttavia, il simbolo della luna rimane legato alla protezione femminile, principalmente per le bambine (è l'equivalente della bulla tra i ragazzi: sull'Ara Pacis, una bambina porta una lunula al collo) e le giovani donne non sposate (la lunula è spesso rappresentata nei ritratti femminili delle mummie del Fayum; normalmente veniva rimossa dal collo il giorno prima del matrimonio). La connessione tra le fasi lunari e le mestruazioni femminili faceva sì che la luna fosse considerata anche una « stella femminile ».

[58] Il Digest o Pandects è un'opera legale dell'imperatore Giustiniano. Andiamo, su ordine di Giustiniano, a raccogliere estratti dai principali giureconsulti. In inglese, inoltre, la parola « digest » esiste ancora per designare estratti di romanzi che si possono leggere quando si è pigri e destinati a incoraggiare ad andare un po' più avanti nella lettura dell'opera (Vedi Reader's digest immaginato nel 1924 da De Witt Wallace).

[59] Antiquités d’Herculanum, incise da Th. Piroli e publicate da F. et P. Piranesi, VolumeTome III, tavola XXII – Collegamento ipertestuale : https://www.gutenberg.org/files/17233/17233-h/17233-h.htm.

[60] L'affresco rappresenta la coppia di amanti divini per eccellenza. Marte, che ha perso la sua armatura, disfa il mantello azzurro di Venere per ammirare la dea in tutta la sua nudità, mentre Venere impugna la sua lancia. L'unico « indumento » di Venere sarà presto (oltre ai suoi altri gioielli) questa catena d'oro, che la rende una protagonista importante nel dipinto. Due amorini giocano con le braccia di Marte (uno alato, Cupido, proprio figlio; l'altro, senza ali, può essere identificato con Metos o Formido, anch'esso uno dei loro figli (equivalente romano del dio greco Deimos). Botticelli riprodurrà, diversi secoli dopo, lo stesso schema nel suo dipinto oggi alla National Gallery di Londra, ma sostituendo gli Eroti con piccoli fauni). Lì, la dea dell'amore è vestita modestamente, ma la sua figura è comunque sottolineata da fasce dorate sulla sua veste. In ogni caso, il modo con cui Marte la sostiene o dorme (nonostante il muggito della conchiglia nel suo orecchio) e la sua mancanza di vestiti o armature, ma anche il modo con cui Venere impugna la lancia (come uno scettro) e fissa un punto preciso alla sua sinistra invece del lo sguardo amorevole di Marte, suggerisce sia vulnerabilità che potere: chi è il vincitore, chi è il perdente? In entrambi i casi è l'Amore che ha soppiantato la guerra. Deponendo le sui armi ai piedi dell'Amore (« sotto la forma moltiplicata degli Amores » come scrivono benissimo Nicole Blanc e Françoise Gury: vedi bibliografia), Marte ha gettato la sua virtus alle ortiche e attesta la sua sottomissione alla dea: il potere seduttivo di Venere ha trionfato sulla guerra, la sete di sangue e la violenza e le armi non sono altro che giocattoli nelle mani dei bambini. Il messaggio delle due opere, romana e rinascimentale, potrebbe quindi essere il famoso slogan contro la guerra degli anni Sessanta: « Fate l'amore non la guerra! » (senza trascurare il messaggio neoplatonico dell'opera di Botticelli, Venere simboleggia Humanitas il cui atteggiamento calmo e composto ha un’influenza benefica e calmante su brutalità, dissensi e litigi). Eppure, il nostro dizionario di francese/italiano è pieno di espressioni che identificano l'amore con la guerra: diciamo « prendi una donna » come « prendiamo una fortezza », « amore assalta », « conquista il cuore di una donna », ecc. e anche le citazioni: « in guerra, come nell'amore, solo il combattimento corpo a corpo dà risultati » (Blaise de Montluc). Per avere un’idea del contesto in cui à stato scoperto l’affresco, consultare il sito https://www.pompeiiinpictures.com/pompeiiinpictures/R7/7%2009%2047%20p2.htm.

[61] « Le immagini inserite nei post non sono di proprietà del sito, ma vengono pubblicate, in forma non originale,  per scopi solo didattici e divulgativi, nel rispetto del comma 1-bis dell’articolo 70 della legge n. 633 del 22 aprile 1941, « Protezione del diritto d’autore e di altri dirittti connessi al suo esercizio ». Contestualmente chiunque voglia utilizzare materiale presente su Romanoimpero può farlo citandone però la fonte e l'indirizzo. Peraltro si attribuiscono testi e immagini ai rispettivi autori ove questi siano riconoscibili, ma se la loro pubblicazione violasse dei diritti d'autore, si prega di comunicarlo e provvederemo alla rimozione o alla citazione dei loro creatori.. » (fonte : https://www.romanoimpero.com/2015/03/info.html).

[64] Vedere il sito « Leisure and luxury in the age of Nero. The villas of Oplontis near Pompei » : https://exhibitions.kelsey.lsa.umich.edu/oplontis-leisure-and-luxury/sculpture.php.

[65] Pezzo conservato al museo archeologico di Pella. Alkidemos è un epiteto divino che significa « difensore del popolo » (troviamo la radice greca demos, « popolo », come nella nostra parola « democrazia ».

[66] In Histoire de l’art, anno 2010, 66 – Collegamento ipertestuale : https://www.persee.fr/doc/hista_0992-2059_2010_num_66_1_3312.

[67] L. Jacobelli, Le pitture erotiche delle terme suburbane di Pompei, Rome, L’Erma di Bretschneider, 1995, pagina 45.

[68] John R. Clarke, Ars Erotica. Sexualität und ihre Bilder im antiken Rom, Darmstadt, Primus Verlag, 2009.

[69] Les Fleurs du mal, GF, pagina 166. La poesia è stata musicata da Léo Ferré nel suo album Léo Ferré canta Baudelaire, una canzone ripresa da Yves Montand.

[70] L'orgia non ha nulla a che fare con il « La grande abbuffata » e inoltre non è di natura sessuale, ma è relativa alla religione! (cfr. articolo « Le mythe de l’orgie romaine » di Dimitri Tilloi sul sito di Arkhe (https://www.arkhe-editions.com/magazine/le-mythe-de-lorgie-romaine/).

[71] Questa disposizione non è di poco conto: la X formata dal ponticello era l'ipostasi del pianeta Venere (vedi nota 50 dell'articolo di Virginie Girod, « L’érotisme discret du sein dans les représentations artistiques sous le Haut-Empire »).

[72] Fece sottilissime catene di bronzo e ne fece una rete che non poteva essere sciolta né spezzata e fissata ai sostegni del letto. Quindi finse di partire per Lemno ei due amanti caddero nello stratagemma di Vulcano, incapaci di alzarsi. Vulcano quindi entrò, accompagnato dagli dei dell'Olimpo e deriso gli dei colti in flagrante adulterio. Ridilizzato, Marte andò a nascondersi in Tracia e Venere e Afrodite a Paphos dove lo accolsero le Grazie. La prima forma di questa leggenda mitologica appare nel libro VIII dell'Odissea di Omero, scritta probabilmente nell'VIII secolo aC. J.-C. Ovidio riprende la storia nelle sue Metamorfosi, Libro IV, vv. 176-178.

[73] Collegamento ipertestuale: http://www.iconos.it/le-metamorfosi-di-ovidio/libro-iv/marte-venere-e-vulcano/immagini/06-marte-venere-e-vulcano/. Vorrei ringraziare la dottoressa Nina Willburger e la signora Ulrike Klotter del reparto fotografico del Württembergisches Landesmuseum per la gentile concessione di utilizzare la fotografia di questo bellissimo pezzo di Ares e Afrodite.

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